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Rebecca è nata negli anni ’50 a Mottafollone, in provincia di Cosenza, un piccolo paese che all’epoca non raggiungeva i 1000 abitanti e che le era sempre sembrato un luogo pittoresco ed accogliente: sin dai primi anni di vita, aveva imparato a notare l’ armonia del contrasto tra il colore verde scuro degli ulivi ed il giallo fiammante delle ginestre, mentre ne odorava i profumi che si mescolavano e si perdevano nell’aria. 

Mottafollone sorge all’ombra di un castello medioevale e si sviluppa nella zona collinare situata tra il Parco Nazionale del Pollino e la Piana di Sibari. Confina con San Sosti, località famosa in tutta la Calabria per il Santuario della Madonna del Pettoruto. 

È come una piccola oasi di pace, dimenticata dal resto del mondo, che si può abbracciare con un solo sguardo. 

L’ infanzia di Rebecca al paesello era stata molto serena. 

Aveva trascorso i primi anni della sua vita a correre nei campi e ad arrampicarsi sugli alberi; era cresciuta insieme a molti bambini del posto con i quali trascorreva le giornate fino al tramonto.  

Di quel periodo ricorda tutto, anche e soprattutto il lungo tragitto che ogni giorno, sotto il sole o la pioggia, doveva fare a piedi per andare a scuola perché i suoi genitori lavoravano e non potevano accompagnarla, ma quei chilometri non le pesavano: aveva una grande voglia di imparare. 

Era ancora una bambina quando i suoi decisero di trasferirsi a Cosenza, cogliendo al volo un paio di ottime opportunità lavorative. Da questa città, conseguita la patente, era partita, con la sua auto nuova carica di bagagli e la mente piena di sogni, per raggiungere un’ amica in Germania ed iniziare una nuova vita.

Prima di raggiungere la sua mèta, però, era stata costretta a fermarsi a Bologna e in questa città lei ed io ci eravamo casualmente incontrate, in una tiepida mattinata primaverile, in un bar del centro. 

Stavamo sorseggiando un cappuccino sedute ad un tavolo all’aperto, poco distanti l’una dall’altra, quando un’ improvvisa folata di vento aveva rapito il foulard di seta colorata che entrambe portavamo al collo e, facendoli volteggiare nell’aria, li aveva magicamente intrecciati per poi abbandonarli a terra. 

Rebecca ed io ci eravamo alzate per raccoglierli e, vedendo che non riuscivamo a scioglierli, avevamo iniziato a ridere come due ragazzine. 

Io l’avevo guardata dicendole:

“È un segno del destino! Ciao, sono Rossella.” 

Lei, a sua volta, si era presentata:

“Ciao, sono Rebecca.”.

In questo modo era nata un’ amicizia profonda, sincera e duratura.

Rebecca mi considerò da subito una grande ascoltatrice e cominciò, giorno per giorno, sino alla piena maturità, a raccontarmi la sua esistenza, mettendo completamente a nudo la sua anima.

Ritengo che la vita di Rebecca debba essere narrata, per riconoscerle la sua forza e la sua determinazione, per dimostrare che esistono madri coraggiose, capaci di mettere completamente da parte se stesse per il bene dei propri figli.

 

La storia che mi accingo a scrivere è il viaggio nella vita della mia amica del cuore alla quale, in questo libro, ho dedicato anche alcune mie poesie.

 

Rebecca è calabrese e da parecchi anni abita in un Comune alle porte di Bologna.

Qualche giorno fa le ha telefonato un’ amica di famiglia da Mottafollone, il paesello nel quela lei è nata, per dirle che Don Giuseppe, l’anziano parroco, è molto malato.

Rebecca è sempre stata credente: da piccola frequentava assiduamente la parrocchia, si recava ogni domenica alla santa Messa e ancora oggi si rivolge a Dio per trovare conforto nei momenti più difficili. Non considerava la parrocchia solo la sede del culto religioso, ma anche un luogo nel quale ritrovarsi con i coetanei a chiacchierare ed a giocare. Con quegli amici fraterni, Rebecca era cresciuta e diventata ragazzina ed erano stati proprio loro a farle notare per primi il suo aspetto: con sinceri apprezzamenti le avevano detto che aveva degli splendidi capelli mogano-ramati e degli occhi di un colore particolare, tipo acquamarina.

Per quanto fosse ancora molto giovane, aveva iniziato a ragionare che l’aspetto esteriore, unito alla educazione ed alla gentilezza, sia nell’ambito sociale che in quello lavorativo, dovesse avere una sua importanza ed aveva fatta sua l’abitudine di truccarsi leggermente e di pettinarsi con garbo. 

Era consapevole che, facendo queste cose, si allontanava un poco dall’educazione alla semplicità che le era stata impartita dai suoi genitori, ma era certa di non fare nulla di male. 

Don Giuseppe si era subito accorto del momento in cui tutti i ragazzini avevano iniziato a crescere ed era comunque riuscito a tenerli sempre uniti e vicini alla parrocchia con esempi corretti di stile di vita, discorsi ben direzionati ed affetto. Per questo lui  era caro a Rebecca e, alla notizia della sua grave malattia, lei avevo deciso senza indugio di prenotare il biglietto del treno per dargli, probabilmente, quello che sarebbe stato l’ ultimo saluto. 

In un attimo era arrivato il giorno della partenza.

 

 

Rossella Rosetta Guglielmetti

IL VIAGGIO

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